IN TRINCEA – 18 marzo 1932 –
Chissà cosa avresti detto oggi.
Forse avresti ripetuto le stesse parole d’allora, quando ci raccontavi di guerra, di miseria e di sirene che suonavano ad annunciare il coprifuoco. Di nemici che avanzavano, di alleati e di paure e nascondersi ognuno alla meglio, chi nelle grotte o tra gli anfratti o rinchiusi in casa perché arrivavano i bombardieri, le rappresaglie. Tra le razzie, di chi e chi come meglio poteva, raccogliere quel po’ che era concesso per sfuggire alla morte. Oggi come allora la scena è la stessa. Il muoversi delle masse in fretta, assaltare le diligenze dei treni e dei negozi e poi scendere in battaglia armarti di mascherine, guanti e disinfettanti per difendersi dal nemico. Ma questa volta il nemico è invisibile. Non ci abbracciamo per farci coraggio, stringendoci l’uno all’altra ma, sai, ci evitiamo per salvare la pelle. Non ci ritroviamo nei covi comuni ma ci guardiamo senza neanche parlare,, come se il nemico al solo sentirci potesse farci male.
Avresti rivisto oggi quella storia. Si, diversa eppure simile. Avresti concluso che siamo in guerra. Ma sai papà è guerra che non ha fucili e ne’ mimetiche ma siamo armati uguali. L’uniforme bianca ne fa dei generali, dei comandanti o dei soldati semplici. Che’ dai balconi si canta e si balla e si sfida la sorte. È oggi come allora il canto dei popoli. Mi raccontavi di bandiere troneggianti come vessilli e dentro le case a pregare coi lumi sempre accesi. Era allora la guerra dei confini e della supremazia, oggi è la guerra del confinare un virus in gabbia. Traditore e fautore del “vivere è sempre quello “.
Ecco papà cosa c’è di nuovo sotto il sole: nulla di nuovo.
Ritorneremo a sventolare bandiere tricolori tra piazze e città, oggi vuote o tali, ed annunciare la guerra è finita!
#iorestoacasa
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