21 Marzo, primo giorno di Primavera; gli uccelli cantano, ma il cielo è grigio.
Non sanno, loro, che da domani un brusco calo di temperatura ci farà ripiombare in un quasi Inverno.
Così è la Vita: non ci lascia assaporare il suo tepore e quando si crede, in qualche modo, di sentire una sorta di felicità, ci ributta nel buco per tenere basso il credo di onnipotenza, per riportarci a creature tra le creature, per renderci consapevoli che può fare di noi ciò che vuole, che non c’è merito o demerito, che se compiamo il bene è per noi, per far star bene il nostro cuore, ma questo non ci salverà da morte certa.
Con questi pensieri ogni giorno varco la soglia del mio laboratorio; le puntesecche mi aspettano.
Ancora una volta l’Arte mi salva da paure ed angosce.
Questo dono che mi sono trovata tra le mani, nel cervello e nel cuore, che spesso ho percepito come condanna perché non accolto, capito, riconosciuto.
Ancora una volta viene in mio soccorso.
Nel lontano 1997 scrivevo in “Senza Punta”, Campanotto Ed., una sorta di diario sulla vita e sull’arte, che ” se il lavoro artistico è amore, non ha bisogno di ragione o di obiettivi per esistere. Non ha bisogno di luci della ribalta. Esiste e basta.
La perla più bella racchiusa nella conchiglia in fondo al mare, quando viene rivelata, illumina, fa gioire il cuore di chi l’ha cercata, ma il dopo è un’altra storia…essa è lì anche se nessuno la trova e contribuisce alla creazione, alla storia, all’umanità. Così è dell’arte quando è un atto d’amore; l’abbandono, il rifiuto, la ricerca lacerante, il tormento, sono il contorno, la perla è lei.”
E ancora nel 2002 in “Appesa al muro”: “Non è un dedicarsi all’Arte come di chi si dedica ad una gratificazione: è essere arte, immersi in essa fino a non respirare, che ti entra ed esce da ogni poro, anfratto anche il più segreto. Il dono delle braccia, delle gambe, la vista, l’odorato, il silenzio e il rumore dell’udito, tutto è lei…malinconia di un artista!”.
Ecco, cara Veronica, cosa sto facendo, come sto vivendo questo tempo sospeso, irreale, di strade deserte dove l’aria rarefatta è percorsa dall’essenziale come se fossimo ai primordi del mondo!
Concludo con una poesia di Tadeus Rozewicz che mi pare rappresenti questo momento e la sua speranza, “Le rose verdi del poeta”:
Lo vidi
seminava il vento con fare stupendo
come un fiore
che spande i semi.
Andandosene
non raccolse tempeste
ma una bracciata di rose
e ciascuna era verde.
Grazie
Giuseppina Lesa
#iorestoacasa
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